Giorgia Meloni a «Il Corriere dello Sport»: «Il calcio è l`Italia»

L’intervista di Ivan Zazzaroni

«Ho letto l’intervista del ministro Spadafora al Corriere e francamente sono rimasta perplessa. Dice: “non ce l’ho con il calcio” e poi pone una serie di questioni sulla ripartenza per arrivare a concludere che la decisione spetta al governo. Già, ma chi è il governo?». La sorpresa (lieve) di chi è cresciuto con direttori che ogni due per tre urlavano a una politica che non li ascoltava «giù le mani dallo sport!». Fino a quando Italo Cucci mi incoraggiò a studiare i rapporti tra onorevoli, qualche disonorevole e, appunto, lo sport. Avendolo preso in parola, mi concedo una lunga, indispensabile premessa. Giulio Andreotti è stato il massimo curatore politico dello sport. Quando gli fu commissionata la chiusura del Coni fascista (l’ultimo presidente mussoliniano, Lando Ferretti, sedette nel Parlamento repubblicano come senatore eletto nel MSI) d’accordo con Giulio Onesti non solo non lo abolì, ma lo rafforzò. Prima straordinaria mossa politica di Onesti e Andreotti, l’Olimpiade di Roma: 1960, l’Italia come Paese sconfitto non avrebbe avuto diritto a organizzarla, Andreotti convinse tutti i partiti. Onesti fece il resto. E sequestrò anche la Sisal a Della Pergola. Politicamente: nacque il Totocalcio democristiano. A&O non avevano bisogno della politica, la facevano, come quando vendettero lo sport alla Rai. Negli anni Settanta il socialista Usvardi avrebbe voluto il Ministero dello Sport. Niente. La politica entrò in gioco a livello internazionale tentando di boicottare la finale di Coppa Davis ’76 a Santiago del Cile: giocammo e vincemmo. Toccò in seguito al drammatico Mundial argentino ’78, o dei generali, dove si formò l’Italia di Bearzot che quattro anni dopo avrebbe vinto in Spagna. Nell’80 la destra chiese di non andare a Mosca, Franco Carraro (ministro, sindaco di Roma, presidente del Coni e della federcalcio, membro del Cio e altre 176 cariche) la spuntò con la neutralità, l’Italia partecipò a quei Giochi senza atleti militari e Mennea vinse l’oro dei 200. Risposta russa nell’84, boicottaggio di Los Angeles. Noi presenti, trionfò la Dorio. Altra battaglia politica: la destra disse no alle Olimpiadi di Pechino, andammo ugualmente e vincemmo tanto. Le Olimpiadi e il caldo sono stati fermati solo dalle guerre mondiali. Tokyo 2020 dal Coronavirus. Il campionato da Spadafora? Ecco dunque spiegata la necessità di avvicinarci alla politica – percorso inverso – per provare a vincere una battaglia di sopravvivenza, quella del caldo: al Governo spetta infatti la decisione finale. Proprio nella giornata mondiale dell’igiene delle mani, Giorgia Meloni, per tutti “la Meloni”, ha celebrato la ricorrenza non lavandosene le mani: «Abbiamo assistito alla personalizzazione di una discussione che avrebbe dovuto avere altri contenuti, altri toni, altre sedi. Spadafora ha inseguito una centralità e una visibilità inaccettabili, sembrava che il futuro del calcio fosse una cosa soltanto sua, ha peccato di possessività e egotismo. In casi come questo la politica dovrebbe avere l’umiltà di ascoltare chi ne sa di più, chi i problemi li vive direttamente. Spadafora farebbe bene a occuparsi dello sport di base, interessandosi delle piccole e medie imprese che finanziano le attività locali. Se non si interviene con dei sostegni efficaci si rischia un’ecatombe… I punti sono due. Il primo: noi di Fratelli d’Italia abbiamo chiesto più volte al governo i dati su mortalità e la letalità del coronavirus. Come si sa, la mortalità si riferisce all’intera popolazione e la letalità all’incidenza sui contagiati. Bene, i dati in nostro possesso dicono che la letalità è molto alta tra gli over 70, alta tra gli over 60 e non arriva all’uno per cento, 0,8, tra gli under 40. Cosa voglio dire? Che il dramma non solo sociale della morte di tanti anziani è spaventoso e devastante. Ma che per lo sport, e in particolare il calcio giocato da ventenni e trentenni seguiti con tutte le attenzioni possibili dalle loro società, il coronavirus è un ostacolo affrontabilissimo».

Il secondo punto? «Non mi risulta che il calcio abbia chiesto aiuti economici al governo, è perfettamente in grado di fare da solo, se messo nella condizione di agire. A tal proposito mi lasci aggiungere una cosa solo apparentemente fuori tema. Noi siamo contrari all’applicazione dei codici Ateco. Qualcuno ci dovrebbe spiegare perché un ristorante che ha un giardino esterno è considerato più pericoloso di un minimarket. Questa è una falsa riapertura, quella vera dovrebbe tener conto di paramenti di sicurezza logici e interessare chi è in grado di garantire realmente la riduzione del rischio. Tornando al caldo professionistico, oltre a essere una sorta di antidepressivo naturale, è un settore economico che genera ricchezza e distribuisce risorse anche agli altri sport e allo sport di base».

Il suo rapporto con il calcio quale? «Un rapporto politico. Non sono una esperta, lo seguo con passione e per questo mi chiedo perché il ministro non abbia mai fornito una risposta logica alla domanda “perché vuole chiuderlo?”. A dire il vero, non ha mai dato nemmeno una risposta».

Tifosa della Roma, giusto? «Certo, e lo può scrivere. Con una madre laziale sfegatata e un compagno juventino. A casa volano gli insulti».

Una sorta di stretching domestico particolarmente utile quando il confronto diventa televisivo. (Lei sorride). Giorgia Meloni nutre un amore particolare per il rugby segue tutte le partite del 6 Nazioni e possiede, non per colpa sua, una collezione di cucchiai di legno. Le piace correre (è stata ministro per la Gioventù nel quarto governo Berlusconi, la più giovane della storia repubblicana), ha partecipato a numerose gare non agonistiche, dividendo per otto anche la Maratona di Roma: cinque chilometri comportano pur sempre una discreta fatica. Pratica il CrossFit («lo praticavo prima della maternità» precisa). Nel 2006, seguendo il consiglio di Fabio Caressa, ha fatto la valigia, un trolley, ed è andata a Berlino per la finale («un momento fortunatissimo»). E presidente di Fratelli d’Italia, che ha fondato sei anni fa insieme a Guido Crosetto e Ignazio La Russa, e giornalista professionista. «Umiltà, saper ascoltare la federcalcio, la Lega , i calciatori, le loro istanze. Servirebbero preparazione e competenza, e una storia, e non mi faccia dire altro».

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